UN CIOTTOLO PER GIOVANNI REBORA
Giovanni Rebora,
docente di storia economica ex direttore del
dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’Università di
Genova, il professore di tutti, è morto a Genova il giorno 22 del
mese scorso. Di pomeriggio.
Professore di tutti per la sua
disponibilità ad ascoltare gli studenti e per la stima generale di cui
godeva, anche all’estero. Ricordo che una volta ch’ero andato a trovarlo
in Università, pur essendo alle soglie della pensione, aveva ancora una
montagna di tesi da seguire perché non sapeva dire di no a nessuno.
L’avevo incontrato la prima volta nel
gennaio del 1990, quel gennaio di gelo quando la campagna ed i paesi
erano stati completamente avvolti da una patina bianca che aveva coperto
i tetti delle case ed i rami degli alberi, pur non avendo nevicato
nemmeno una volta. Sin da prima di Natale l’alta pressione sulle regioni
settentrionali aveva favorito lo svilupparsi del fenomeno della
galaverna.
A quell’epoca Giovanni si occupava
della parte storica di certe belle dispense ed a lui fui indirizzato da
un editore, quando cercavo un autore per la gastronomia ligure. Per la
cucina vera e propria, dal punto di vista professionale ai fornelli, la
Federazione Italiana dei Cuochi mi mandò da Zeffirino, titolare
dell’omonimo famoso ristorante di Via XX Settembre. Vedevo la
possibilità di fare un’accoppiata vincente. Per convincere Zeffirino
avevo le credenziali della FIC e da Rebora mi presentai dicendo che il
primo volume di una nuova collana di cucina regionale, Puglia,
era stato firmato da Luigi Sada. “Se c’è Sada”, mi disse, “vuol dire che
è una cosa seria”. Non se ne fece nulla, però, perché Zeffirino si
ritirò dall’impresa per troppi suoi impegni.
Poi venne l’anno 2003 e ricorsi a lui,
a Giovanni, per la presentazione di U prebuggiùn de Tregosa.
Accettò l’invito e venne a Trigoso quale ospite onoratissimo. Per prima
cosa smontò recisamente le varie favole legate al significato ed alle
origini del termine prebuggiùn, raccontando nell’occasione che quando
era bambino “a Sestri Ponente, nel giorno di Sant’Alberto i bambini
andavano di casa in casa a chiedere un contributo per il prebuggiùn. Le
famiglie visitate offrivano ai bambini una o due manciate di pasta
secca, ciascuna famiglia offriva ciò che aveva e così alla fine della
raccolta ci si trovava con un insieme eterogeneo di forme di pasta,
dalle conchiglie agli spaghetti, dalle penne ai maccheroni di Natale,
eccetera. Questo insieme era il prebuggiùn di Sant’Alberto e veniva
cotto tutto insieme in grandi pentoloni e poi servito alla sera della
festa sotto forma di pastasciutta. Si trattava comunque di un insieme
eterogeneo preparato per essere bollito”. Dall’alto della sua dottrina,
che era grande, invitò poi il cosiddetto mondo popolare a non
complicarsi la vita con regole troppo rigide e si riferiva, non solo
alle 16 erbe di Trigoso, ma anche a coloro che depositano dal notaio
certe ricette per stabilirne l’esclusiva.
Giovanni, a proposito della tradizione
gastronomica, era convinto che fosse più facile perpetuarla per opera di
qualche ristoratore piuttosto che attraverso la cucina di casa,
inquinata dal continuo bombardamento dall’esterno ed anche dall’interno
attraverso la televisione: “in casa si legge lo spartito”, diceva, “e
l’esecuzione non sempre dà buoni risultati, anche perché spesso la
musica non è originale.
Quella sera Giovanni a Trigoso incantò
tutti con la sua eloquenza ricca di riferimenti storici intercalati ad
aneddoti relativi alla sua vita vissuta a Sampierdarena quando non c’era
inquinamento, quando i bambini si parcheggiavano “a màina”, alla
spiaggia, tanto l’uomo allora era vicino alla natura. Parlò di seguito
senza pause per concludere alla fine con l’invocazione di “egua!”,
perché aveva la gola secca. Fu sommerso dagli applausi di gente felice
di aver avuto la fortuna di ascoltarlo.
E poi divenne di casa perché a Trigoso
Giovanni tornò l’11 agosto 2004 per la presentazione del Ciottolo n. 14
dal titolo Pan & cumpanègu, che si svolse all’imbrunire sul
sagrato della chiesa di S. Sabina. Passò letteralmente da un tavolo
all’altro, intrattenendosi e attardandosi a parlare con tutti delle
tradizioni e dei valori che gli stavano a cuore.
Quel sagrato, costituito da milioni di
ciottoli raccolti uno per uno sulla spiaggia, è l’agorà di Trigoso ed è
lì che di tanto in tanto si parla dei ciottoli, che sono i quaderni
della omonima collana ideata e realizzata da Marco Bo: 24 dal 1999. Sul
parapetto verso mare ci sono murati i ciottoli in ceramica, dell’artista
chiavarese Alfredo Gioventù, ognuno dei quali riporta il nome
dell’autore ed il titolo di tutte le pubblicazioni.
Anche a Giovanni spetta a pieno titolo
il suo ciottolo sul muretto del sagrato.
Giorgio Cretì
Il pensiero di Giovanni
sulla tradizione gastronomica occidentale, e non solo, è compendiato
soprattutto in La civiltà della forchetta (Laterza 2001),
tradotta in più lingue, ma anche in una serie di collaborazioni per
Il Secolo XIX raccolte nel sito Il porto ritrovato.
Importante è anche La cucina medievale italiana tra Oriente e
Occidente (1992) in Miscellanea storica ligure (anno XIX,
1987 n. 12) |