Il leudo "Nuovo aiuto di Dio" sulla spiaggia di Sestri Levante

IL LEUDO RIVANO
di
Edoardo BO

I naviganti del Tigullio erano soliti utilizzare per i loro viaggi il leudo, barca dalla vela latina che fino alla metà del secolo scorso ha solcato il Tirreno spingendosi oltre l'Arcipelago toscano, in Sardegna e fino alla Sicilia.
Il leudo è una barca tipicamente tigullina, della quale Riva Trigoso - paese "dei cento padroni e delle cento barche"- è considerata la terra madre, anche se non vi fu costruito un solo esemplare: i padroni marittimi rivani si rivolgevano infatti ai
cantieri navali di Sestri Levante, Lavagna, Zoagli, Rapallo, Santa Margherita e San Michele di Pagana dai quali, nell'Ottocento, li acquistavano al prezzo di 2.000 lire.
Ho conosciuto questa meravigliosa barca a vela verso il 1940 quando, per raggiungere la scuola di Riva, fiancheggiavo i cantieri: era alato il leudo del "Lentu" che trasportava il vino elbano per smerciarlo nella sua osteria affacciata sulla spiaggia; affacciata sulla spiaggia; a Borgo Rena numerosi erano i leudotti, i rivanetti e i gozzi da pesca. Un "rivanetto" sulla spiaggia di Renà.Molti erano i leudi nell'angolo di Ponente e, di questi, solo il "Nuovo Aiuto di Dio" e rimasto a farsi corteggiare dai turisti e dagli ultimi naviganti sulla spiaggia della Baia delle Favole, a Sestri Levante, in attesa di scendere in mare.
Del leudo, una barca sui generis, hanno scritto il camogliese Gio Bono Ferrari, comandante di mare e scrittore, e il sammargheritese Vittorio G. Rossi, cantore di storie marinare, che lo ha definito "una barca dell'epoca romantica della marineria velica del Tigullio e della Liguria, che portava i nomi di Santi, della Madonna, di genitori, segno d'amore e di una viscerale fede".
Su quest'imbarcazione viaggiavano a vela intere famiglie, che mettevano al sicuro i figli nei barili dove si salavano le acciughe, oppure li legavano all'albero maestro per non farli cadere in mare.
A bordo dei leudi si distinsero provetti marinai e coraggiosi commercianti, che acquistavano vini, formaggi e altri prodotti pagandoli in "marenghi" e poi in lire.
Ferrari e Rossi hanno voluto celebrare questa barca dalla vela latina con l'albero inclinato verso prora, che scivolava sull'onda provocando quello sciacquio dolce e armonioso quando si alzava la veletta di prora, la faceva impennare, affrontando il mare impetuoso.
Hanno raccontato anche storie di vecchi marinai impregnati di salsedine, rudi ma gentili, che affrontavano i venti con l'ardire di vincere il mare al comando di una barca che navigava in compagnia dei gabbiani, poco più lunga di 16 metri, elegante, conosciuta fuori dalla Liguria come "tombolotto del mare", per la sua sicurezza di navigazione.
Il leudo resterà nella memoria come un'imbarcazione che forgiò coraggiosi capitani, eredi di altrettanti navigatori che avevano affrontato la malafueras, il famigerato Capo Horn, e i mari dell'Europa oltre le Colonne d'Ercole.
Nei secoli passati le spiagge del Tigullio, da Riva Trigoso a San Michele di Pagana, erano un arsenale di bianchi velieri, di ogni tipo e di ogni stazza, un unico cantiere brulicante di lavoro; in mancanza di strade, i leudi erano la forza operante vivificante e predominante, destinati al commercio, al trasporto della sabbia e dell'ardesia verso Genova e le Riviere e del carbone dalle coste francesi, ai traffici sui lidi dell'Elba, di Capraia e della Sardegna. Un leudo all'isola d'Elba carica il vinoSu essi si esportavano i damaschi di Lorsica, le sete e i velluti di Zoagli, le reti di Santa Margherita e di Sestri Levante, i tomboli di Portofino, l'ardesia della Fontanabuona, da scambiare con vino e formaggi, oppure con fucili, fisarmoniche, suppellettili provenienti dalla Francia.
A quel tempo il piatto del giorno era il bagnun di acciughe e gallette, oppure i pesci pescati durante le soste forzate, quando Eolo sonnecchiava e la barca navigava a suon di braccia; ma al risvegliarsi dei venti, i naviganti affrontavano il mare impetuoso con grande coraggio, a volte immolando la vita in naufragi o incidenti.
Nel secolo scorso, le spiagge di Riva Trigoso e di tutto il Tigullio erano affollate di barche, bianche vele al vento che il Sabato Santo alzavano il tricolore sul pennone in segno di ringraziamento per le grazie ricevute lungo le perigliose navigazioni; la sera, allo slegar delle campane, tutti si recavano in riva al mare per immergere i piedi e lavarsi la faccia.
Alcuni leudi sulla spiaggia di Riva Ponente.Ogni famiglia di Riva Trigoso possedeva un leudo, che rappresentava uno strumento di lavoro, ma che diventava quasi un simbolo della Provvidenza: era tradizione, infatti, che i "vinaccieri" di Ponente rientrassero appositamente alle loro case per partecipare alla festa in onore della Madonna del Soccorso, la seconda domenica di ottobre; quelli di Riva celebravano invece la Madonna dei Buon Viaggio il 15 di agosto. Raggiungevano poi Trigoso, tutti insieme, per pregare all'altare della Madonna del Rosario.
Gli ultimi leudi furono costruiti negli anni trenta del novecento e, da allora, cominciò un lento declino che li portò quasi a scomparire quando, con l'avvento delle navi a vapore, andarono scemando i commerci con le isole. L'ultimo, costruito alla
metà del secolo scorso, fu il Nuovo Aiuto di Dio.
Attualmente, oltre ai numerosi esemplari realizzati dai modellisti e a quelli immortalati sulle facciate delle case di Riva e di Sestri, nel Tigullio rimangono soltanto quattro leudi, a ricordare la storia di una barca e dei suoi coraggiosi marinai: il Felice
Manin
, il Nuovo Aiuto di Dio, il Domenica Nina (in restauro ai Cantieri Sangermani di Lavagna) e il Ferdinando Padre, acquistato dal Comune di Lavagna, che naviga nelle acque del Tigullio. Un meraviglioso leudo si può ammirare percorrendo il lungomare della Baia delle Favole dove, dopo il nobile Palazzo Balbi, presso uno dei più tipici ristoranti in cui si può ancora assaporare il vero bagnun (il piatto dei naviganti leudisti), un grande affresco murale rappresenta il leudo Giovanna del padrone Nicolotto Zolezzi. Questo, con la sua ciurma di mainolli sestrini, si recava in Africa nel tempo della pesca delle acciughe e delle sarde; in occasione di uno degli ultimi viaggi tornò a Sestri con un Crocifisso alto più di mezzo metro, donato a Nicolotto Zolezzi da un pescatore algerino che conosceva la sua devozione al Santo Cristo, venerato dai naviganti dei due mari.
A quasi cinquecento anni dal viaggio di Cristoforo Colombo, il leudo Felice Manin di padron Ghio "Cumbinemmu" di Rena, dopo la ristrutturazione e il varo avvenuto il 3 luglio 1982, al comando di Luigi Cappellini e con otto uomini d'equipaggio il 21 ottobre 1984 è partito da Genova e, sulla rotta degli alisei, è arrivato il 30 ottobre 1985 a San Salvador.
Un leudo rivano ha così cominciato una lunga serie di presenze nei porti più prestigiosi del Nord America, conclusa con la parata del 9 ottobre a New York; dopo una sosta nel porto di Chicago, dal 1987 al 2000, il vecchio legno è stato riportato alla Spezia dove sono in corso le operazioni di restauro presso l'Arsenale Militare.
Vi collaborano capitan Mosè Borderò, armatore del leudo Nuovo Aiuto di Dio, e gli studiosi del settore Mario Caffero e Lazzaro Ghio di Riva Trigoso.
Accanto ai leudi, solcavano le acque di Riva le pareggie, le golette, i "barchi bestia" e i leudotti, imbarcazioni di 13 metri che andavano alla pesca in Africa costeggiando il litorale tirrenico o le coste occidentali della Corsica e della Sardegna, per raggiungere, se il tempo lo consentiva, la Sicilia, la Tunisia e l'Algeria.
Nel 1880-90 a Borgo Ponente se ne contavano ben ottanta, oltre a venti guzzoni, dieci sardiniere, otto paia di crocette e molte barche utilizzate per la pesca alle acciughe sul litorale toscano e sulle coste francesi di Saint Raphael, una campagna che durava tutta l'estate. Riva e Borgo Rena erano popolate da duemila abitanti, Ponente da milleottocento, calati da Trigoso e da Ginestra, i leudotti erano settanta e i guzzoni venti, numerosi i rivanetti e i gozzi per la pesca costiera.
Nel 1896 sorsero, sulla spiaggia tra Riva e Rena, i Cantieri Navali, che i pescatori e i leudisti non volevano perché temevano che fosse danneggiato l'alaggio delle barche, tanto che presero a sassate l'armatore Erasmo Piaggio e il comandante Lorenzo Gardella di Recco, che avrebbero poi portato tanto beneficio al paese.
Le botti piene di vino elbano, vengo buttare a mare prima dell'alaggio del leudo
Quanta devozione avevano i marinai e i pescatori per i loro Santi protettori: la Madonna di Montenero di Livorno, Santa Rosalia che aveva conosciuto chi, attraversato il Canale di Sicilia, faceva tappa nei porticcioli isolani affacciati sulla costa africana. Ferdinando Bregante, figlio del "Tillin" e padrone della pareggia Madre Giulia, acquistata da "Muridin" Bregante di Riva, fino al 1950 trasportava a Sestri ben 500 ettolitri di vino rosso da Castellammare del Golfo e, con la goletta Buona Madre, altrettanto vino da Santa Eufemia in Calabria, mentre i "barchi bestia" dei Piaggio "Cichetti" di Sestri e dei Lena "Merica" di Riva, che attraccavano al porto di Genova, portavano il rinomato vino di Pachino in Sicilia e i dolci di Cipro e di Grecia.Le botti piene di vino elbano, vengo buttare a mare prima dell'alaggio del leudo
I leudotti rivani, con una ciurma di pescatori sui generis, alcuni dei quali usavano portare gli orecchini, partivano il primo maggio, dopo la benedizione del parroco di Trigoso (fino al 1873), poi di quello di Riva e di San Bartolomeo della Ginestra, dopo aver ricevuto sulla spiaggia il commovente abbraccio dei familiari. Partivano per l'Africa: a Livorno acquistavano i barili per la salagione e, attraverso il Canale di Piombino, raggiungevano l'Elba e la Sardegna; navigavano verso Carloforte per caricare sale e per acquistare vettovaglie. Raggiunta la Cala di Francia, Galitta e Capo Ferro in Algeria, si disponevano alla pesca; dopo aver riempito i barili di pesce, iniziava il viaggio di ritorno. L'arrivo era avvertito dai vecchi pescatori, vigili sentinelle sulla spiaggia; quando le bianche vele spuntavano da Punta Baffe, si radunava la popolazione Le botti piene di vino elbano, vengo buttare a mare prima dell'alaggio del leudoavvisata dal suono delle campane di San Bartolomeo, delle Rocche e di Trigoso, che festeggiava commossa chi aveva avuto la fortuna di rientrare sano e salvo.
Uno stesso tipo di pesca si praticava sulle coste francesi, dove i naviganti portavano anche le mogli, che spesso partorivano a bordo i loro figli.
A quest'attività si aggiungeva la pesca a strascico sulla spiaggia con la sciabiga e, con l'abbinamento di due guzzoni o latini, quella tradizionale con le "manate" e i palamiti fatta con i rivanetti, equipaggiati di cinque pescatori.
Tony Bregante, in Cento padroni e cento barche, ricorda due pescatori rivani che, recatisi con i leudotti a pescare le sarde sulle coste nordafricane, furono fatti prigionieri dai pirati. Nei primi anni dell'Ottocento Matteo ed Emanuele Ghio, due Il leudo sulla spiaggia di Ponente con le botti piene di vinogiovani mainolli rivani che viaggiavano a bordo di un leudotto, furono catturati da uno sciabecco corsaro e ridotti in catene. Dopo una penosa traversata furono trasferiti a Berberia, venduti sul mercato degli schiavi e condotti a lavorare nelle saline; essendo due possenti giovanotti, furono poi scelti per far parte della guardia del Sultano. Ma meditavano la fuga: di notte s'impadronirono di una barca incustodita e affrontarono il Canale di Sicilia; la fortuna li assistette e approdarono sulla spiaggia di Sciacca. La fuga era riuscita, ma Riva Trigoso era ancora lontana e i pericoli numerosi. Risalirono lentamente la costa tirrenica approfittando della bonaccia e nutrendosi di pesce, muscoli, patelle, zin e anche bassiggie. Dopo tre mesi di avventura, approdarono allo scoglio dell'Asseu, nell'angolo di Borgo Rena.
Un varo del leudo "Nuovo Aiuto di Dio"Familiari e amici, che stentavano a riconoscerli per il loro aspetto macilento, li accolsero con comprensibile commozione, increduli di quell'odissea; andarono tutti insieme a pregare nella chiesa di Santa Sabina di Trigoso, ricevendo la benedizione all'altare della Madonna del Rosario.

 

Questa è la storia del leudo rivano, che resterà simbolo di una terra di marinai, di una storia reale, viva, semplice e generosa, limpida come l'acqua del suo mare e della sua gente.

                                                                   Foto Bo