L’ULTIMA
DIASPORA
Al termine
di un percorso lungo alcuni millenni, gli ebrei
subirono una terribile persecuzione, la più grave
dal principio della loro storia. Questo particolare
momento possiede collocazioni temporali precise:
1922 e 1933, coincidenti con l’affermazione, in
Italia e Germania, di fascismo e nazismo, due regimi
totalitari che avevano elevato razzismo e
antisemitismo a cardini dottrinari, derivandone
applicazioni pratiche sconvolgenti. Assunti
irrinunciabili per chi desideri studiare
criticamente la storia europea di quegli anni,
costituiscono il punto di partenza del presente
lavoro, quando la persecuzione verso gli ebrei
giunse alla sua fase critica, che attraverso vari
metodi prevedeva l’eliminazione fisica dei soggetti
riconosciuti appartenenti a quella religione.
L’opera presentata, che certamente contribuirà a
colmare una lacuna, trova la propria specificità nel
campo del soccorso ebraico, una materia
semisconosciuta, i cui assi portanti furono retti da
uomini determinati, alieni da concezioni
semplicistiche e consapevoli di agire in un contesto
straordinario qual era l’Europa tra il 1939 e il
1945. Un soccorso anche possibile per gli aiuti
internazionali, che non mancarono, e per una «catena
di solidarietà» dovuta agli stessi ebrei che
riscoprirono vincoli creduti scomparsi. Né mancarono
gli aiuti interni e neppure – benché in forma non
ufficiale – il notevole contributo della Chiesa. Su
tutti però, occorre precisarlo, gli ebrei si
aiutarono «con la solidarietà di altri ebrei», come
sostenne nelle «comunicazioni agli assistiti» la
Delasem (Delegazione assistenza emigranti [cui si
sarebbe dovuto aggiungere ebrei, termine che, a
causa dell’ostilità manifestata dal fascismo al
potere, dovette rimanere sempre sottinteso]), l’ente
assistenziale ebraico con sede a Genova e
diramazioni in tutto il paese e all’estero, che
operò nell’Italia della seconda guerra mondiale e in
Europa prodigandosi nel salvataggio dei
correligionari in difficoltà. Non si può tuttavia
parlare dell’ente di assistenza senza focalizzare la
figura dell’avvocato Lelio Vittorio Valobra,
nominato suo presidente, il quale tra il 1940 e il
1945 si adoperò con rara efficienza per la causa
ebraica, dopo un passato di fascista rigettato in
via pressoché definitiva nel 1938 a seguito dei
provvedimenti razziali. L’organizzazione diretta da
Valobra costituisce in Europa un caso inimitabile:
salvataggio di oltre cinquemila ebrei riconosciuti
(francesi, tedeschi, croati, greci, rumeni,
ungheresi, ecc.), assistenza di oltre novemila,
talvolta in situazioni davvero critiche: per esempio
a Camillanissi (un’isola dell’Egeo nei pressi di
Rodi, dov’era naufragato un battello a pale
proveniente da Bratislavia che trasportava oltre 500
profughi), oppure nei territori jugoslavi
controllati dagli ustascia, con il salvataggio di 45
bambini poi rifugiatisi a villa Emma nelle vicinanze
di Modena e infine, a conclusione della guerra,
avviati in Palestina. Le pagine riferiscono poi del
presidente dell’Unione delle comunità israelitiche,
Dante Almansi, un ex prefetto già vicecapo della
polizia durante il primo governo Mussolini; del
rabbino Riccardo Pacifici, deportato ad Auschwitz
nel novembre 1944 e ucciso poco dopo l’arrivo, che
in missione di apostolato non mancò di recarsi in
visita ai campi d’internamento italiani, il più
famoso dei quali sorgeva a Ferramonti Tarsia; nel
libro compaiono pure i nomi più conosciuti
dell’ebraismo italiano, il cui elenco è lunghissimo
e vi compare la Mensa dei bambini, un ente fondato
da un ingegnere milanese, Israel Kalk, attivo
soprattutto nell’istruzione degli studenti dei
campi, che si contrappose alla Delasem; chiarisce i
ruoli del Comasebit, dell’Ort, del Congresso ebraico
e via dicendo. |