STORIA
DELLA LIGURIA DURANTE LA REPUBBLICA SOCIALE
Il libro da poco edito mancava
dalle biblioteche liguri. Costituisce un punto fermo
della nostra storia recente, quella che
dall’armistizio dell’settembre 1943 giunge alla
conclusione della guerra, per la Liguria il 25
aprile 1945. Attraverso l’esame di una sostanziosa
mole di documenti provenienti in massima parte dagli
archivi di Stato e dagli istituti per la storia
della Resistenza della regione, e tracciando un
quadro complessivo, è raccontato il vissuto del
periodo certamente più tragico nella storia del
paese dall’Unità, i diciannove mesi della Repubblica
sociale italiana quando, caduto il fascismo dopo
venti anni di potere ininterrotto ed eccettuato il
breve e poco significativo governo badogliano, il
territorio italiano venne in buona parte a trovarsi
sotto l’occupazione nazista. Benché, con la
liberazione di Mussolini, tornasse nuovamente alla
ribalta il fascismo e un nuovo governo satellite
fosse creato con il diretto appoggio di Hitler e il
concorso dei suoi funzionari civili e militari.
Si sono descritti, sul territorio
ligure, cioè una regione che possedeva importanti
strutture – come il porto di Genova, il maggiore del
Mediterraneo e l’arsenale di La Spezia, il maggiore
d’Italia – quali furono gli impatti e le
implicazioni conseguenti alla nascita della
Repubblica sociale, che cosa accadde tra il suo
apparire e la sua fine e se, come già affermato,
corrisponde al vero che sul piano formale non si
potrebbe neppure parlare di «nascita» ma di
«continuità» tra il vecchio regime e il nuovo, dal
momento che quasi tutte le istituzioni fasciste
continuarono ad esistere, le fabbriche a produrre,
le scuole ad applicare i programmi stabiliti, le
poste a consegnare lettere, i servizi pubblici come
ferrovie, tranvie, autocorriere a trasportare merci
e passeggeri, la Borsa a funzionare. Un regime
caratterizzato da una guerra civile di notevole
ampiezza, da precarie condizioni di vita, da
bombardamenti intensivi e pressoché quotidiani, da
una crisi alimentare che non parve risolversi mai,
da una povertà diffusa nonché dall’occupazione
nazista, che rubava continuamente la scena con il
suo ruolo primario, mai messo in discussione ma
passivamente subito, accanto al neofascismo delle
istituzioni ufficiali che quando non si resse sul
consenso trovò conforto appoggiandosi alle
«baionette tedesche». Tuttavia il regime di Salò non può
essere minimizzato; neppure lo si può liquidare
dichiarando che il governo instaurato era privo di
vera importanza perché tutto si risolse accettando
le imposizioni dell’alleato. Né, tantomeno,
considerarlo una parentesi nella storia del paese;
al contrario è parte di essa a ogni effetto,
inscindibile. Si ebbero notevoli differenze interne
e non risulta affatto agevole definirne omogenei gli
attori sociali, perché si svilupparono parecchi
livelli di collaborazione e di responsabilità. Il
percorso della Rsi, seppure accidentato da continui
ostacoli, presenta notevoli ambiguità interpretative
e in essa la collaborazione, o se si vuole
l’acquiescenza alle scelte del regime, fu piuttosto
ampia. D’altronde la Rsi, da quando fu deciso
dovesse esistere, prese a mettersi in moto – in modo
contraddittorio, con limiti e manchevolezze evidenti
e con crescente impopolarità – presentando un
proprio apparato e numerosi personaggi tenuti ai
margini dal vecchio regime ma che adesso, con la
domanda che superava l’offerta, tollerati e
incoraggiati, riuscirono a tornare alla ribalta
prendendosi una momentanea rivincita. Non mancarono,
specie nella pubblica amministrazione, funzionari
preparati né ottusi burocrati e neppure solerti
impiegati i quali, quando le disposizioni lo
richiesero, eseguirono alla lettera i compiti più
ingrati. Piaccia o meno la Rsi, benché si fosse
affermata con il determinante concorso dei tedeschi,
fu uno Stato a tutti gli effetti, sebbene
riconosciuto da pochissimi soggetti: quasi
totalitario, repressivo, violento e sanguinario ma
che, in qualche misura, riuscì perfino a dispensare
servizi essenziali e accessori. Uno Stato che, dal
versante dell’ordine pubblico, previde la messa al
bando degli oppositori e la soppressione dei nemici
interni; uno Stato dove Mussolini, accettando di
assumerne la guida, rimase cosciente di poter
disporre di margini di manovra assai limitati ma
che, comunque, tentò di avviare verso un percorso
disseminato di impossibili ostacoli. Si pensi, in
questa ottica, ai soventi richiami al «fascismo
delle origini» e ai programmi di «socializzazione»
delle imprese che fino a pochi giorni dalla
conclusione della guerra non volle abbandonare
benché avversati da tutti, tedeschi, industriali e
operai. E benché l’epilogo si avvicinasse a grandi
passi, appare indubbio che il duce fosse all’ultimo
segnato dalla mancanza di realismo. |