Il titolo di questa raccolta di
versi, “Pensieri vagabondi”, può suggerirne una
chiave di lettura. I pensieri del poeta non sono
fissi su singoli problemi, sensazioni, paesaggi,
ma vagano alla ricerca del senso della vita.
La prima sezione comprende la dimensione del
sogno, della meraviglia di fronte alla natura,
alle stagioni del tempo e della vita.
Nella sezione “Profumi di mare” il lettore è
condotto sulla riva del mare, ad aspirarne
l’odore salmastro, a sentirne gli spruzzi, ad
incantarsi innanzi al suo moto incessante; e la
mente corre, verso “orizzonti di azzurri e di
infuocati tramonti”, verso lontananze in
dissolvenza.
Questo abbandonarsi al sogno, alla magia del
vento “pregno di mare e di isole lontane”, al
cullare delle onde, è vitale e salutare, ma non
basta al poeta. C’è il “rovello” della mente, il
tarlo della ragione che lo spinge alla
“recherche” di entità e valori primigeni, al di
là del contingente, quasi al di là della storia.
Per cogliere il significato della terza sezione
“Recherche”, ritengo opportuno riportare quello
che ne ha scritto la musicista e poetessa
Patrizia Bossoni: “Il raccontare il tempo nelle
poesie di Francesco Dario Rossi ha un sapore
particolare, è quasi un tradurre la storia che
le cose, la natura, gli uomini racchiudono. Vi è
la percezione di quanto sia carico di storia
tutto ciò che ci circonda. E’ un tempo difficile
da scrivere, un tempo che non ha rumore di
lancette, è un segno che il tempo lascia, che è
lì, fisso, ti guarda e attende solo che tu ti
accorga di quanto ha da dire. E’ un tempo che
passa, segna come un marchio a fuoco l’esistenza
e la memoria dell’uomo”.
E’ insomma un tempo quasi fuori del tempo, il
tempo degli uomini primitivi, che “con gesti e
suoni gutturali parlano di paure e di speranze”.
Paure e speranze sono costanti nell’oscillare
dell’animo dell’uomo, sia dell’uomo delle
caverne, sia di quello che naviga su Internet.
Forse proprio questo ha voluto comunicare
Francesco Dario Rossi nella sezione “Recherche”
della sua raccolta di versi.
I pensieri del poeta, nel loro vagabondare,
approdano poi alle “Figure della mente”, a
figure geometriche. Egli cerca di cogliere il
nesso tra razionalità geometrica e la tensione
dell’animo verso l’infinito, tra la caduta di
speranze e di sogni ed il “nulla sconosciuto che
inghiotte tutti i tratti indefiniti”. Ci sarebbe
il rischio di approdare ad un totale nichilismo.
Ma l’autore conclude la sua raccolta con un inno
alla Madonna di N. S. dell’Orto di Chiavari, con
un’invocazione a Lei, perché “protegga
dall’orrore del vuoto” e “sommerga in mari di
speranza le eterne paure dell’ignoto”.
Da sogni trasognati e vani, dagli abissi della
disperazione alla speranza di trovare il Senso e
la Verità della nostra vita. Questo è il cammino
che ci indica l’Autore.
Alberto Dell’Aquila