nelle tempere di Data presentazione: 22 marzo 2007 - Oratorio N.S. del Rosario - Sagrato S.Sabina - Trigoso Presentazione di Enrico Rovegno |
"i ciottoli ” 22
Non sono un critico d’arte: verità che ho cercato di opporre alla richiesta di scrivere qualche nota di presentazione per questo nuovo “Ciottolo”. Il mio mestiere sono le parole, le loro congiunzioni e costruzioni che esprimono pensieri, descrivono frammenti di realtà. E poiché le parole sono meno delle cose, anche le parole che indicano i colori non potranno mai essere tante quante le loro sfumature: da acquamarina a zafferano, passando per tutte le lettere dell’alfabeto, e pur combinando tra loro, attraverso il ponticello di una similitudine, il verde con il prezioso scintillio dello smeraldo e con l’umile pastosità del pisello; pur accostando il blu alla Prussia, a Giotto o al manto della Madonna; pur giocando al piccolo chimico con gli aggettivi per ottenere nuove mescole, dal semplice “verdeazzurro” di un qualsiasi opuscolo commerciale alla più estrema tinta “biancoflautata” che appare in una delle ultime poesie di Giorgio Caproni… di fronte alla varietà del ‘mondo creato’, o costruito dall’uomo, dobbiamo ammettere la sconfitta di qualsiasi tentativo di ‘ricrearlo’, o di ricostruirlo, con la parola (proprio come capita al sommo viaggiatore Dante, che alla fine del suo viaggio, di fronte alla visione del Creatore, giunge a dichiarare impotente persino la propria “alta fantasia”). Né, d’altro canto, una sia pur prodigiosa, persino dannunziana capacità di procedere per accumulo, di elencare tinte e mezzetinte e sfumature per descrivere le coste e le case di Liguria (ma pensate all’entroterra, agli infiniti verdi delle valli e grigi dei monti!), risponderebbe necessariamente a una maggiore resa artistica, a una più efficace rappresentazione della realtà così come noi la conosciamo (o crediamo di conoscerla): è più facile, anzi, è quasi certo che ancor più grande suggestione si effonda da una sola similitudine, forse da una sola parola: penso a tutti i colori di Genova che nei versi di una “cartolina” dello stesso Caproni vengono a condensarsi in una sola, semplicissima immagine - “Lascerò la persiana / verde sopra l’ortensia” – e ad affermare così la loro ferma e però fragile forza contro il buio che incombe (“Lascerò così Genova: / entrerò nella tenebra”). Questo è, d’altro canto, il mistero proprio della parola poetica, questa possibilità (che non è solo una tecnica, nessuno può illudersi di ripeterla a suo piacere) di cogliere l’essenziale, o meglio quella essenza che - magari proprio in un colore - fra le tante possibili si impone per un attimo, o per sempre, come l’unica. Non a caso ho citato la semplice persiana verde evocata da un grande poeta: perché a convincermi ad accettare quella richiesta non è stata la cortese insistenza con cui mi è stata rivolta, ma la suggestione della semplicità delle cose che ho sentito vibrare nelle tempere di Andrea Lavaggi, divenute materia di questo libro. Il visitatore di questo paese di carta colorata si accorgerà intanto di essere solo: nessuna figura umana vi appare, e non certo perché Trigoso e i suoi dintorni, giù fino alla spiaggia di Riva, su fino al colle di San Bernardo, e ancora giù sul lungomare di Sestri, e fino all’isola fra i due mari, fino al convento dei Cappuccini e alle chiese di Santa Maria e di San Niccolò, siano un luogo disabitato, un paese vivo soltanto di ricordi: anzi… Ma per una scelta primaria dell’artista di far parlare le cose senza, diciamo, interferenze: per una volontà di cogliere in maniera diretta il loro piccolo, quotidiano mistero di luci e ombre, di sfumature (quelle stesse che le parole non potrebbero evocare se non indirettamente): di mettersi in ascolto della loro voce. Perché queste pareti, questi tetti, questi muretti sbrecciati, questi portoni, queste persiane, queste scalinate, questi terrazzini, intendo proprio questi che Lavaggi ha dipinto, raccontano – e il merito del pittore è stato saperla raccogliere - una loro storia, fatta appunto di macchie di colore, di intonaci a volte sbriciolati, di angoli d’ombra che invitano alla sosta, di segni di una vita passata, di un tempo che consumandosi fra queste pietre ha lasciato una traccia, il deposito di una umanità che qui non si mostra direttamente, ma è sottintesa, con il suo lavorìo che nei secoli ha edificato, modificato, abitato questi luoghi. Spero di non essere frainteso: lungi da me la volontà di presentare Lavaggi nelle improbabili vesti di un De Chirico metafisico locale, anche perché – a parte la mia ostilità per il vezzo di certi paragoni inattendibili, più imbarazzanti che lusinghieri per chi ne è fatto segno – la struggente malinconia, il senso di attesa poi comune a molta poesia, non solo ermetica, del Novecento, nascono da quelle piazze, da quei palazzi e da quelle strade (dico, di De Chirico) proprio in virtù della loro vertiginosa astrazione, per il loro collocarsi fuori dal tempo e dallo spazio, in una visione sintetica e, appunto, metafisica, della realtà. Lo sguardo di Lavaggi, senza mai scadere nella tentazione di costituire una sorta di alternativa alla guida fotografica, è invece analitico e concreto, tal che ogni angolo può essere riconosciuto, ogni particolare ricollocato in un paesaggio del quale, qui e adesso, costituisce il corpo vivo: carne e ossa, vorrei dire. Non so se davvero il nome di Trigoso, come pure sembra assai probabile, derivi da un latino Trigaudium, triplice gaudio nello sguardo di chi da quassù può spaziare ben su tre golfi. Certo dal sagrato di santa Sabina è un bel vedere, e doveva esserlo molto di più nel passato, quando da qui al mare non c’erano tanti ostacoli frammezzo. Ma il visitatore che scorra queste pagine può ritrovare una diversa gioia dello sguardo, che è quella di chi volge le spalle al mare e guarda in su, verso le case del borgo di Trigoso, appunto, anziché in giù. E siccome la magìa discreta, vorrei dire umile, di queste tempere gli consentirà di essere, come si è detto, solo, gusterà ancor meglio il discorrere delle linee verticali e orizzontali dei muri e dei tetti, l’obliqua fuga delle scalette, lo svettare grande del campanile, quello minuto dei comignoli… Un primo lettore-visitatore, il poeta Francesco Dario Rossi, ha lasciato nel libro una traccia del suo personale percorso, affidando a una puntuale serie di didascalie in versi l’emozione del suo sguardo, con risultati anche di assai felice consonanza («Scale e ringhiere richiaman ricordi – le ombre sul retro richiudono spazi - di infanzie felici»; o ancora: «Deserta la via tra mura incavate – vani di porte, scalini in attesa») soprattutto là dove la parola poetica non si sovrappone all’immagine, ma cerca di coglierne il racconto, dando voce alla storia, o alle storie, che essa racchiude. Gli altri lettori potranno stare al gioco, seguendo di pagina in pagina la trama del lettore-poeta, i sassolini bianchi delle sue parole come guida; ma vorrei esortarli anche a provare, poi, a vagabondare loro stessi liberamente (nobilissima e virtuosa occupazione!) in mezzo a quelle case, a sbucare in quel cortiletto, costeggiare quell’orto, calpestare quel selciato, mettendosi a loro volta in ascolto. Qualcosa, ne sono certo, accadrà…
Enrico Rovegno
Hanno parlato del "ciottolo":
“iniziativa
realizzata con il contributo della Provincia di Genova – Assessorato alla
Cultura,
La stampa di questo libro è stata resa possibile anche all’aiuto finanziario dei soggetti di seguito elencati. Ad essi va il nostro sentito ringraziamento: con il loro contributo permettono lo svolgimento di questa operazione culturale:
Antico Forno PARCHI dal1889
ASSERETO
Biolzi Maria Rosa - Materassaia Piazza Sanfront, 16 - Chiavari
Campeggio Parco
Vacanze Trigoso
MECI
ONIFACINO COSTRUZIONI Piazza Sanfron, 5/1 - Chiavari
Via Nazionale, 414 - Sestri Levante
Geom. Enrico CAVALLERO e Giovanni MORTOLA - Amm. Condomini ed
immobili
Immobiliare S.T.A.I. s.n.c. di G. Mortola & E.
Cavallero
Rapolla Carrozzeria
Via della Chiusa, 28 - Sestri Levante
Via della Chiusa, 28 - Sestri Levante
|