UN PO DI ....... STORIA

 

Il territorio di Sestri, quando Sestri non c'era o non si sospettava, era un arcipelago: Manara, ovvero il monte Castello, era l'isola maggiore, imponente, maestosa; e al lato aveva monte Pagano e Bardi a levante, l'isola di Sestri alla quale nessuno aveva mai pensato a dare un nome suo, a ponente. Monte Pagano e Bardi furono le prime a far ponte fra loro, poi si stirarono e si allungarono e distesero finché non si scontrarono e saldarono con la costa principale di Ginestra da una parte e l'altra selvaggia di Manierta e Cantagallo dalla banda opposta.

Crebbero i pini e si infoltirono, mentre Manara diventava la prima penisola di Sestri. Trigoso sarebbe stata praticamente un istmo, quasi come Sestri adesso. Il mare le frangeva sotto, contro le rocce che ora reggono il Conservatorio Fieschi. Alla sua destra, su una spiaggia sassosa, sfociava il Petronio. Dopo il promontorio di Santa Margherita il mare si insinuava in una specie di fiordo frastagliato, giallo dei detriti di un torrentaccio, il Gromolo, che aveva la sua foce all'Arpe. Gli attuali siti di Trigoso e S. Stefano conoscevano la dolcezza e le asprezze delle maree; la costa era scoscesa e tormentosa, tranne piccoli intervalli di quiete costituiti da spiaggette petrose e anguste. La plana di Sestri non esisteva e nessuno avrebbe potuto immaginarla. L'Isola era un'isola davvero e galleggiava di fronte alla punta acuminata, alta e fredda come una lama, della Mandrella. Se testimoni umani esistettero di questo paesaggio, dovettero essere pochissimi e assai distratti: cinghiali, lupi, orsi erano tutto ciò attorno a cui ruotava la loro attenzione — e ai riti per procurarseli agevolmente o per difendersene. Forse poche tribù erano accampate da qualche parte del crinale ricurvo che sì snoda, con le sue propaggini ben esposte e adatte alla difesa, dalla costa soleggiata del Capenardo a Libiola, a S. Pietro Frascati, al Vasca: e di li giù a Trigoso e, dopo che questa si collegò per terra alla Ginestra, al Castellare della Mandrella. Di queste genti barbare sappiamo il male che ne dissero e che ne ebbero i romani e gli aggettivi "aspri" e "duri" con cui erano soliti apostrofarli; abitarono in remote antichità i monti in riva al mare sino alla Svizzera e alla Francia, ove ebbero contatti e rimescolamenti culturali e genetici coi Celti.

 

Quando, un paio di secoli prima della nostra epoca, arrivarono gli impazienti ed efficientissimi romani, le cose erano ancora mutate: il mare batteva all'altezza del Ponte (Medioevale) sul Gromolo e il Gromolo, nella zona in cui vi confluisce il rio Battana, si diramava probabilmente in due bracci: uno seguiva il percorso attuale, l'altro scendeva verso il Petronio, che percorreva grosso modo l'attuale Via Aurelia e si gettava in mare circa all'altezza dell'area ex FIT.

Dalle rocche di S. Anna — ove restano tracce sicuramente autentiche — la strada romana scendeva forse al fondo valle (di allora) o forse proseguiva a mezza costa mirando al Vasca. L'unica cosa che se ne sa è che la via che oggi da targhe truffaldine per quanto volonterose è chiamata "antica romana" e che percorre la pianura da S. Anna alla Lapide (ove in illo tempore nuotavano saraghi e ranocchie) non testimonia che una memoria storica confusa e non risale che alla fine del '500. Ricordanze romane tuttavia non mancano: Sestri era diligentemente segnalata da portolani e baedeker dell'epoca, anche se non è chiaro ancora a quali località dobbiamo collegare i nomi di Segeste, Tegulata, ecc.

 

 

Verso il 1200 l'Isola era abitata e fortificata, il carruggio tracciato: dalla Gran Via al Comune Sestri era una realtà emozionante.

Ai due capi di quest'asse frangeva il mare: il golfo si spingeva ancora fin oltre la Piazza della Repubblica, ove sfociavano, uniti in una vasta palude, i torrenti Gromolo e Petronio. Gli abitanti dell'Isola e della terra/erma — ch'era poi una lingua di sabbia con sopra delle capanne addossate le une alle altre — si salutavano a grida e sassate attraverso lo stretto braccio di mare che ancora le separava, e si facevano visita in barca, se proprio c'era bisogno di incontrarsi. Nei primi anni del '300 gli abitanti delle due sponde di Sestri passavano le giornate assorti a spiare ansiosamente giorno per giorno l'attimo per sempre unico e irripetibile in cui la terra/erma avrebbe raggiunto e agganciato l'isola in mezzo al mare. Quando accadde fu una cosa semplice e persino esageratamente naturale anche se straordinaria e commovente: soltanto le onde più audaci o più nostalgiche e innamorate riuscivano, anche con l'alta marea, a riunirsi oltre una striscia di sabbia larga un paio di metri nella quale poi penetravano e morivano lasciando una schiuma giallastra: ai sestresi parve che fosse accaduto d'un tratto, come un miracolo: ci fu un mormorio, poi un boato: e si corsero incontro gli uni agli altri sul nuovo ponte di ferro, sul tombolo di sabbia fresca, sguazzando nell'acqua che ancora la imbeveva e nelle onde che continuamente si ammucchiavano ai loro piedi, probabilmente sconcertate e perplesse. Così Sestri cominciava a prendere /orma — e anche se questa cambiava lutti i giorni, cambiava tuttavia meno velocemente e meno vistosamente che in passato — e i sestresi cominciarono a sentirsi sestresi. Nessuno che andasse a S. Nicolo, quale ne fosse il motivo, rinunziò mai, sin dall'inizio dei tempi, a salire ancora un poco, a guadagnare il punto più alto del cimitero: per questo lo avevano costruito in quel posto; di lì vivi o morti potevano spaziare lo sguardo sulla loro terra, che pareva loro bellissima e straordinariamente estesa. A nessuno venne mai in mente l'idea che Sestri non terminasse un po' prima della foce dei due torrenti che continuavano a spostare, quasi a vista d'occhio, la linea di costa: in verità anzi era pressoché unanime l'opinione che Sestri finisse al Vico del Bottone e tra i ragazzi mainolli e i campagnoli di Via della Chiusa avvenivano a sassate.

 

 

Trigoso non era più sul mare da molto tempo, ma gli abitanti rinunciavano a fatica a considerarsi abitanti di un paese di mare. Così, non appena fu praticabile un lembo di terra sotto monte Pagano, lo chiamarono Riva e vi installarono quattro case con l'intenzione di considerarlo un sobborgo. Un'idea simile ebbe Zenestra, anche se con mo­tivazioni diverse: si appropriò dì una manciata di scogli e sabbia sotto le Rocche e vi fece edificare alcune abitazioni: una minima colonia continua­mente sbattuta dal vento e dal mare che si chiamò Ripa di Zenestra. Sulla sottile striscia di sabbia che orlava monte Pagano, quelli di Ripa e quelli di Riva si misero a costruire barche, a cucire reti da pesca, si diedero a correre il mare.

 

 

 

 

Ne//"800 le spiagge di Sestri e di Riva erano un trionfo di leudi con le vele immense mollemente distese nel sole e nel vento... I sestresi e i rivani erano fra i marinai più arditi, poi il mondo cambiò, troppo in fretta... I piccoli, velocissimi velieri, panciuti come scrofe e agili e indolenti come gatti, dopo aver corso il Mediterraneo da un capo all'altro vivevano la loro morte inevitabile. I vecchi cercavano di non pensarci... Ma i figli non conoscevano legami che non si potessero spezzare, se in patria c'era da vivere, bene, altrimenti se ne sarebbero andati a costruire altrove la loro esistenza.