Il “sindaco” di Renà
di
Giorgio Cretì

 

Sulla piazzetta di Renà ci sono alcune panchine messe lì apposta per accogliere i pensionati che nelle ore calde, riparati dal sole, si raccontano le loro storie. Le panchine sono sistemate in due punti: sotto un fico vecchio e inselvatichito per mancanza di potature, e a ridosso del Cantierino. Per lo più è gente che ha passato tutta la vita lavorativa in Cantiere, ma c’è anche qualcuno che in gioventù ha fatto il pescatore e a volte può capitare di assistere a racconti che fanno rivivere il clima descalziano dei primi anni del secolo XX quando la gente viveva col mare o emigrava per far fortuna. Quella che segue è una conversazione con Ermanno Ghio, detto il sindaco dai suoi amici, sulla panchina all’angolo del Cantierino. Sono presenti altre sei o sette persone che fanno crocchio separato, ma sempre per parlare di leudi, marinai, vinaccieri, zavorrai…, di cose passate. I vecchi non parlano volentieri di futuro, questo è per natura prerogativa dei giovani.

Ecco, più o meno, com’è andata; da noi incalzato ed in certo modo condotto, che cosa ci ha detto Ermanno Ghio, classe 1928, che da giovane ha fatto il pescatore.

 

E’ vero che da giovane hai fatto il marinaio?

Io ho lavorato in cantiere quasi quarant’anni ma prima facevo il pescatore. Andavo con i palamiti.

Quando abboccava un delfino che cosa facevate?

Il delfino non si prendeva con il palamito.

E con che cosa?

Lo prendevano con l’arpione.

Non si diceva che faceva danni?

Sì, alle reti delle lampare. La pesca delle acciughe. Prima delle lampare, però, quando i pesci s’impigliavano nelle maglie e non venivano raccolti nelle reti che sembrano grandi sacchi. Quando la gente di mare ha inventato la salagione ed il bagnùn. Andavano in mare e stavano via una campagna, partivano a fine maggio e tornavano in agosto.

Il delfino si prendeva perché faceva danni?

Lo prendevano per mangiarlo, l’ho mangiato anch’io.

Ma non  facevano il musciame?

Il musciame era un’altra cosa. Del delfino si mangiavano le costate. Le mettevano a bagno un po’ e facevano uscire il sangue. Se vuoi mangiarlo bene il delfino bisogna far uscire il sangue.

E come facevano?

Ci mettevano il sale. Chè il musciame è carne salata e seccata al sole. Prima mettevano il sale, poi l’arrotolavano come un salame. Alla vista si vedeva un affare nero, poi lo tagliavano fine fine. Era una specialità… ma adesso è proibito.

Invece si fa ancora, con le uova di tonno, la bottarga?

Beh, quella lì è un’altra cosa, la fanno ancora la bottarga.

Pescavate anche anguille?

Guardi, io delle anguille di fiume…

E le anguille di mare, i gronghi?

Ecco, quelle sì prendevano con il palamito. L’anguilla di fiume è più grassa: io non credo di averne mai mangiata. C’era anche il grongo nero. Quelli bianchi son più buoni, ma hanno delle spine, bisogna saperli mangiare.

In casa vostra mangiavate l’anguilla di mare?

E come no! Si faceva in umido o fritto, ma anche lesso che fa un brodo molto buono. Invece l’orata, il dentice… vanno fatti al forno.

Con le olive?

No. Magari con altre cose, con le verdure. Lo stoccafisso…

Ma lo stoccafisso viene da lontano.

Sì, ma si faceva con le olive. Con l’acciuga, invece, si fa il famoso bagnùn, con il soffritto di cipolle e con pomodoro. E poi i pesci in genere si fanno fritti, bolliti… olio e un po’ di limone. L’acciuga è straordinaria aperta, tolta la lisca di mezzo, infarinata e cotta nel forno senza nient’altro. E’ una cannonata. Ognuno ha i suoi metodi.

Dove c’erano i gronghi si pescavano anche astici?

Sì, nel fondale.

Ed aragoste?

Anche aragoste, però l’aragosta vive più al largo… non nella sabbia, nei posti argillosi, ma un po’ più al largo. Qui solo qualcuna, c’era l’astice che noi chiamiamo longobardo. Il maschio dell’aragosta si chiama astice. C’erano ma ora con i sub…

E le cicale di mare?

Le cicale ci sono ancora adesso, sono al largo per lo più anche nel fango: le prendono con lo strascico.

Con le conchiglie che cosa si fa?

Quelle fanno buono il sugo, u tuccu, dopo averle tritate bene.

Solo la bestia?

Solo la bestia.

Come si fa per farla uscire?

Una scottatina e poi con uno stuzzicadenti si tirano fuori dalla conchiglia. Si tritano e si mettono nell’olio con prezzemolo, aglio e olio. C’è chi mette anche la salvia, il pomodoro… qualche altro gusto, magari un po’ di pepe… e il vino bianco. Con le patelle si fa un ottimo sugo. Le aragoste si fanno al forno e anche lesse… con maionese. Poi, dipende da chi le fa. Se parliamo, per esempio, di un dentice o di un’orata, se parliamo di un polipo…

E’ vero che il polipo bisogna batterlo?

No. Guardi, il polipo, glielo dico io come… Il polipo si mette nel freezer.

E quando non c’era il freezer?

Quando non c’era il freezer… Di polipi ce n’è diverse qualità. Uno ha le gambe più corte ed è rosso. Lo facevano bollire, le vecchie lo facevano bollire tanto tempo. Batterlo, qualche cosa si fa, sì, ma non è quello che determina. Ora, ora…, con la pentola a pressione… A quei tempi lo pestavano col batticarne. C’erano quelli che li battevano sugli scogli, appena presi.  Il moscardino è una specialità, che li vendono cari e li chiamiamo i novelli. Il polipo rende poco, però, lei prende un polipo da un chilo, quando lo cuoce viene tre quarti.

Da ragazzi li prendevate tuffandovi?

C’era un vecchio che aveva una gamba di meno. Stava lì, prendeva un pezzo di straccio bianco, lo calava… Il polipo se lo tocchi cambia colore… Allora ce n’era a bizzeffe di polipi…

Con la pesca riuscivate a fare la giornata?

Quando sì e quando no. A quei tempi lo sa cosa c’era? Finita la guerra, ch’era cinque anni che non pescava nessuno… Però qui c’erano soltanto quelli del paese, c’era qualche albergo ma non c’era turismo e allora il pesce non si vendeva come adesso. E’ capitato anche che quello in più l’abbiamo sotterrato. Ora che pesce non ce n’è più costa caro.

Si pesca ancora il besugo col bollentino a tre, quattrocento metri di profondità, uno per volta?

Ora hanno anche gli strumenti che vedono il fondo, Perché, vede, per pescare fuori ai nostri tempi che c’era i posti… Se lei prende la mappa del fondo, vedrà che c’è dei punti… C’è un banco che parte da Portofino e va fino a Livorno. E lì ai lati di questo banco c’è mille metri. Il banco è a quattro, cinquecento metri. E lì, in quei punti lì noi, finita la guerra, quando siamo andati a pescare ci siam trovati le mine lasciate dai tedeschi. Erano grosse così, una sull’acqua e una a fondo a pochi metri. E lì prendevamo il grongo e la mostella. Anche qualche grongo bianco. Il fondo è basso e anche coralloso e c’erano anche i besughi. Il banco parte da fuori Portofino e va fino a Scirocco, va fin fuori Livorno.

E’ una specie di piattaforma?

E’ come uno scoglio sul fondo.

E quanto è largo?

Non ce lo saprei dire. Miglia… Che poi, come le dicevo, sul fondo dov’era il posto, a quattro, cinquecento metri di profondità, oltre che conoscere il posto preciso, bisognava calcolare la corrente. E allora nei monti c’era dei punti di riferimento; prendevano tra un punto e l’altro, di modo che si buttava in acqua una boa con un po’ di peso, si teneva in acqua un quarto d’ora, venti minuti. Si calcolava da quel punto dove andava di là e di là e se andava o in su o in giù.

Calcolo ad occhio.

A occhio, a occhio. A quella profondità lì, anche adesso, loro ci hanno gli strumenti, se non ci hai uno strumento che calcola la deriva, la corrente sposta i palamiti. A seconda delle stagioni oppure quando cambia il tempo, c’è delle correnti fortissime. Incrociavano le montagne, facevano i punti e dicevano: la butto qui, tanto di qua tanto di là.

Adoperavate barche da tre metri?

Erano anche di otto, dieci metri.

Con equipaggi di quattro, cinque persone.

Anche otto. A motore. Non camminavano tanto, ma andavano bene.

Quanto tempo stavate in mare?

Andavamo a prendere l’esca a Monterosso. A quei tempi a Monterosso pescavano con le lampare e poi andavamo a pescare. I posti più buoni erano al largo di Monterosso nel mezzo. Partivamo la mattina alle due, due e mezza e arrivavamo la sera alle otto, otto e mezzo.

Di ritorno. Mangiavate mai pesce crudo?

Proprio crudo no, però c’era la marmitta del motore ch’era come fosse braxa e lì mettevamo i moscardini a dare una mezza arrostita… Che poi… Noi eravamo giovani… I vecchi, sa cosa facevano i vecchi? Quando venivamo a terra non mangiavano e andavano a dormire, poi a mezzanotte si alzavano e mangiavano. Noi invece uscivamo. Ma all’una, una e mezzo si partiva. Prendevamo a volte un pescecane e anche un delfino. Il delfino veniva a gareggiare di fianco alla barca. Allora davano un premio per la cattura dei delfini. E’ successo poi che quando son venuti i primi motoscafi avevano quei fucili ad aria compressa molto precisi e allora a una distanza da qui all’angolo li beccavano tutti. Loro, però, non li mangiavano, noi con i vecchi li mangiavamo, anche le costate. Quelli, cosa facevano? Toglievano il magro, la carne di lato sulla schiena e il resto lo buttavano in mare.

Si stava distruggendo tutto.

Che poi… lei dovrebbe vederli… il piccolo a fianco con la madre… far dei salti sull’acqua. Qualcuno si prendeva, il verdone, ed era anche di cento chili. Ora sono spariti.

Una cattura di quelle vi faceva guadagnare di più?

Con il delfino si faceva il musciame, il pescecane lo mandavano a Firenze, non so perchè, e qualcosa davano. Che a noi veniva ben poco a quei tempi. I proprietari tenevano una parte per la barca, una per il motore, una per i palamiti, che a volte ne perdevano, poi le spese e poi… si divideva. Legavamo le boe tutte assieme e tiravamo su le le lenze. La zavorra pesava perché per farle andare sul fondo in fretta i vecchi legavano delle pietre così. Era un mestiere molto faticoso… Adesso è diverso perché hanno i verricelli. A volte c’era anche degli intoppi, degli scogli. Quando poi è a tre quarti di lenza, si stacca dal fondo e allora viene bene, ma quando è attaccata al fondo… Qui eran tutti pescatori ed erano andati in America, anche mio padre c’era andato. In America facevano la pesca a Santa Cruz e da lì facevano le campagne nell’Alaska. Erano pagati a ingaggio, più avevano i premi in base al pescato. Avevano messo qualche soldo da parte quando sono tornati prima della guerra ed erano andati via negli anni dell’emigrazione, quando c’era tanta miseria. Quando son venuti avevano qualche cosa. Poi è venuta la guerra… Allora facevano la pesca.

Ma la gente non mangiava soltanto pesce?

Qui, vede?, in paese, prima erano tutti orti, perché il paese vecchio è Trigoso, poi man mano che il mare è rientrato… qui dov’è ora il Cantiere erano tutti orti. Mia madre mi diceva che… Difatti lì dove c’è quel ponticello lì, sulla strada, c’è ancora un olivo, vecchio di un centinaio d’anni. La gente andava anche in Francia a pescare d’estate e poi… Come i toscanini che andavano a fare le campagne delle acciughe. Andavano dietro le acciughe, dietro la corrente… Perché la corrente l’estate, quando è buon tempo, parte da ponente e va a levante e a terra. Il periodo migliore è questo, il giorno di San Giovanni Battista, che sarebbe alla fine di giugno. Allora cosa facevano questi qua? Avevano quelle reti che le stendevano di notte, non avevano luci ancora, e andavano con la corrente dietro i pesci: Andavano fin laggiù in fondo sulla costa dell’Africa. Poi rientravano. Salavano le acciughe a bordo. Poi cosa facevano? Quand’era finita la stagione rientravano, a Livorno vendevano le acciughe e poi venivano qui e rimanevano tutto l’inverno. Era così, ogni campagna un bambino. Per le cose che ho sentito dai miei vecchi.

E anche vissute?

Anche vissute, perché anche noi qui abbiamo beccato una guerra.

Come cucinavate la murena? La spellavate?

In umido. C’era tanta gente che la pelava, altri no. E fritta, anche fritta. Mia moglie la cuoceva con la pelle e poi si toglieva. La murena è un po’ grassa ma bianchissima, la carne è bianca. A quei tempi i vecchi seccavano anche i gattucci e poi li mangiavano d’inverno. Anche i polpi seccavano, dopo averli salati. E anche i pomodori…

Pescavate ostriche o altre conchiglie?

No. Noi pescavamo solo con i palamiti, ma nelle reti a volte finivano conchiglie enormi che sembravano ventagli, le gnacchere. Quelle gnacchere lì, l’orata per mangiarle si mangiava dove è attaccata, così lei si apriva e poteva mangiarla… C’erano poi i ciumbìn, uccelli così come i merli, che si tuffavano mentre il palamito andava giù piano piano. Si buttavano giù a prendere le acciughe dell’esca e rimanevano attaccati all’amo. Poi, quando tiravamo su, quei vecchi li spellavano e li portavano a casa. Li spellavano, li pulivano e poi la sera le donne li cuocevano. All’indomani mattina li mangiavano in umido e ci bevevamo sopra.. Ma lo sa che per un bicchiere di vino facevano il ladro?

Facevate colazione al mattino presto?

Guardi, la giornata cominciava così. Si varavano i barconi. Si andava a Monterosso e da qui a Monterosso ci impiegavamo due ore, con quei motori lì. Poi prendevamo l’esca, che lì c’erano le lampare, e puntavamo al largo, un po’ qui verso Levanto un po’ di là verso Vernazza. Misuravamo la corrente come le dicevo e cominciavamo a calare i palamiti. Li calavamo lì perché i pesci non sono dappertutto. Allora non conoscendo esattamente i posti calavamo i palamiti così a zig zag. Finito di fare quella cosa lì si mangiava. Perché finito di mangiare si tirava su i palamiti. Per tirare su i palamiti ci voleva, han calcolato, circa un’ora a palamito. E allora si arrivava verso le due le tre. Quel poco che rimaneva si puliva tutto, si finiva di mangiare e si veniva a casa.

 

Renà 5 giugno 2006