Era la fine
d’ottobre 1977 e padron Tommaso mi aveva fatto sapere che aveva le
reti in mare: se volevo andare con lui a raccoglierle dovevo
trovarmi alla spiaggia di Ponente alle sei e mezzo. A me è sempre
piaciuto uscire in mare con i pescatori e mi ero fatto trovare sul
posto che Tommaso non c’era ancora: Renzo, con altri due uomini,
stava preparando il gozzo da far scivolare in mare a spinta.
Era ancora buio ma
l’alba cominciava pallidamente a schiarire ed a dare forma alle
cose; un’altra barca più piccola era pronta per salpare. Poi Tommaso
fu lì. Noi con il gozzo puntammo verso punta Baffe mentre l’altra
barca si diresse verso la punta Manara.
Il ritmo lento del
piccolo motore diesel copriva appena il silenzio dell’ampia distesa
di spiaggia grigia e del paese addormentato, mentre noi andavamo
verso la luce. Man mano che il gozzo procedeva ed il cielo
lentamente s’illuminava, al largo si alzava la nebbia che ci copriva
l’orizzonte. Lungo la scogliera, nella caligine del mare piatto,
alcune imbarcazioni erano all’ancora per la pesca al bolentino.
C’era anche lì fermo un motoscafo d’alto mare.
Quando giungemmo in
vista di Moneglia il sole stava sorgendo da dietro quel monte e
cambiava i colori del mare. Allora Tommaso, che stava al timone,
accostò ad un galleggiante e Renzo spense il motore. Un silenzio
assoluto dominò lo spazio tutt’intorno e la luce ci avvolse
completamente quasi d’improvviso.
Così ebbe inizio il
recupero della rete rimasta ancorata sopra un fondale di una ventina
di metri dalla sera precedente. Una brezza leggera veniva da terra,
giù per un canalone del monte, fresca e profumata d’essenza di pino.
I nostri occhi,
compresi quelli di Tommaso, erano fissi nel punto in cui la rete
affiorava man mano dall’acqua ad attendere l’attimo in cui appariva
un pesce lucente che invano si dibatteva per liberarsi dalla
cattura.
Una grossa orata,
rimasta impigliata nelle maglie subito la sera precedente, giunse
in superficie per metà perché il resto era stato mangiato dai
granchi e venne ributtata in mare. Poi Tommaso, che vedeva anche
sotto il pelo dell’acqua, afferrò la rete e la tirò su lentamente
sporgendosi dalla murata: con un guizzo afferrò un polipo ch’era
venuto fino in superficie avvinghiato ad una conchiglia che tentava
di mangiare. Tommaso sospese un momento il recupero della rete e
legò il polipo ad una cordicina fissata al fasciame della barca.
L’animale diresse subito i suoi tentacoli verso uno scalmo della
barca, cercando di liberarsi dal cappio, ma Tommaso lo divincolò e
fece in modo che ghermisse il fasciame all’interno.
Ogni tanto la rete
portava in superficie qualche mormora guizzante che Renzo toglieva
dalle maglie della rete e buttava in una cesta: i pesci già morti
venivano ributtati in mare. Non molto lontano, altri pescatori
sembravano fortunati quanto noi. Sempre, dopo alcuni giorni di mare
mosso, quando torna la calma, si pesca bene perché i pesci
continuano a spostarsi; mentre quando persiste bonaccia essi
pasturano tranquilli e con le reti non si pesca quasi nulla. Così
dicono i pescatori. Venivano su pagelli, qualche orata, un altro
polipo che fece la fine del primo, mormore e codirossi. Ai capponi
era riservata un’attenzione particolare, ed anche alle seppie. I
primi restavano nella rete per non perdere troppo tempo e rischiare,
nella fretta, di pungersi con le loro pinne velenose, le seconde si
buttavano in un secchio in segregazione a causa dell’inchiostro che
continuavano a soffiare; mescolarne una con il resto del pescato
voleva dire sporcarlo.
La rete continuò a
salire ed il canestro, alla fine, era quasi pieno di pesci guizzanti
e lucenti. Era ormai giorno quando volgemmo la prua verso casa.
Tommaso si mise al
timone e Renzo iniziò il paziente lavoro di recupero dei capponi,
piccoli mostri rossi, impigliati nella rete: era un piacere
osservarli nel gioco cromatico che facevano con il rosa e l’argento
dei paghi e delle mormore.
Le seppie
continuavano a soffiare nel secchio nero d’inchiostro, il piccolo
motore ansimava regolarmente. Le lardée della scogliera, illuminate
dal sole ci sovrastavano con i loro mille ocra, lì da millenni. Non
si vedeva un gabbiano. Vederli a frotte sul mare è segno che c’è
passaggio di sardine e quindi di tonni. Tommaso, per questo, portava
sempre una lenza di sagola robusta per per pescare al traino, se ne
valeva la pena, sulla via del ritorno, ma ora il cielo era deserto.
Al largo un
peschereccio tagliava tutta la baia, da Ponente a Levante, con la
sua rete a strascico che raccoglieva tutto quanto trovava sul fondo.
Tommaso la definì un aratro del mare che, però e per fortuna, non
poteva pescare sui fondali scogliosi.
Mentre tornavamo a
riva, sulla immensa spiaggia ancora solitaria, alcuni pensionati
ingannavano il tempo aspettando i pescatori e quando una barca
toccava terra facevano crocchio per ammirare i pesci ancora vivi che
venivano scaricati.
Poi si levò man
mano una forte brezza di mare, le barche vennero tutte alate, tirate
a secco lontano dal bagnasciuga, e le onde cominciarono a travolgere
la rena. Solo i pensionati indugiavano ad osservare il mare, ché i
pescatori erano impegnati in altre occupazioni.